Il termine “‘Ntuppatedda” trae la sua origine dalla parola “tuppa”, che in dialetto siciliano indica la membrana che protegge il corpo delle lumache quando queste vanno in letargo. Nel dialetto tipico del territorio messinese la parola indica la lumaca in toto (non solo la membrana), mentre nella zona del catanese la situazione cambia radicalmente. Pur mantenendo il significato che tramanda la parola, e cioè di qualcosa che nasconde e protegge un oggetto o un organismo dagli agenti esterni, per ‘Ntuppatedda a Catania si intende una donna che si traveste e che nasconde il volto per non svelare la propria identità. Si tratta di una tradizione tutta femminile legata alla Festa di Sant’Agata, la santa che subì la mutilazione dei seni per difendere la propria dignità di donna e non cedere alle voglie carnali del proconsole romano Quinziano.
La tradizione delle ‘Ntuppatedde fu perpetrata a Catania quasi per tre secoli (dal Seicento fino al 1870 circa), quando venne abolita per questioni di ordine morale ed anche di pubblica sicurezza (stessa motivazione che ha portato a vietare in molte città italiane l’utilizzo di maschere carnascialesche: per evitare l’anonimato e lo svolgimento di possibili fatti delittuosi). Nei giorni della festa di Sant’Agata le donne catanesi, indifferentemente nubili e coniugate, potevano interamente coprirsi con un mantello nero chiamato “Domino” e nascondere il volto, prima con una maschera e successivamente con un cappuccio dotato di due buchi per gli occhi (così come avviene ancora oggi per i “Babbaluci” messinesi durante la processione pasquale delle Varette, con la differenza che in questo altro caso si tratta di fedeli nascostisi per penitenza), per rendersi anonime ed irriconoscibili agli occhi dei padri o dei mariti, così che non potessero punirle né andarle a riprendere. Quindi, protette dai loro abiti, le donne andavano in giro tra le folle dei fedeli e si permettevano di tenere qualunque tipo di comportamento, in quanto libere dal controllo maschile (in un periodo in cui la donna, in Italia, non aveva neanche il diritto di voto!).
Il modus operandi delle ‘Ntuppatedde ottocentesche trova energiche similitudini con la vicenda del martirio di Agata e, al contempo, se ne discosta fortemente ed anzi sembra rinnegare tutta la moralità su cui si basa il credo agatino. Se da un lato le ‘Ntuppatedde si facevano metaforicamente carico di una rivendicazione di libertà e dell’emancipazione femminile dal controllo maschile (un tema che successivamente avrebbe avuto anche dei fondamenti sociali e politici più forti) così come Agata aveva protetto il suo diritto di dire di no ad un uomo che voleva costringerla a subire molestie sessuali, dall’altro lato, durante la processione, le donne non solo toccavano scherzosamente i fedeli e ricevevano dei doni da loro, ma talvolta ne approfittavano per consumare dei veri e propri rapporti sessuali (andando peccaminosamente verso ciò che Agata aveva rifiutato per la sua fede in Cristo).
La vicenda delle ‘Ntuppatedde è stata raccontata anche da Giovanni Verga nella novella “La coda del diavolo”. Il breve racconto sentimentale narra di un insolito “triangolo” amoroso incompiuto che riguarda una coppia di sposi (Corsi e Lina) ed un amico di famiglia (Donati). Dopo anni di convivenza assolutamente non peccaminosa, proprio durante la festa di Sant’Agata, la donna vestita da ‘Ntuppatedda porta in un bar l’amico del marito dove questo le confessa di averla baciata in sogno. Da quel momento i rapporti tra i tre cambieranno e ciò li porterà ad una definitiva separazione. Soltanto l’anno successivo Lina, nello stesso bar, riuscirà a confessare all’amico del marito di essere stata innamorata di lui. Non passa inosservato il richiamo del Verga allo zampino del diavolo, che probabilmente ha innescato il cuore della vicenda instillando in Donati l’ardore per la donna del suo amico, e neanche l’elemento chiave del costume della ‘Ntuppatedda. Come a dire: se la donna non fosse stata mascherata, Donati avrebbe mai avuto il coraggio di fare la sua confessione?
Oggi la tradizione delle ‘Ntuppatedde è stata ripresa, in maniera simbolica, religiosa e festosa. Le contemporanee ‘Ntuppatedde sono un numero esiguo (inferiore alle decina) di giovani donne, studentesse universitarie o volontarie, che ballano e cantano durante la manifestazione insieme ai fedeli ed ai portatori delle candelore. Si differenziano dalle ‘Ntuppatedde del passato perché, per loro scelta, sono interamente vestite di bianco e recano in testa un velo che, sebbene le copra, non oscura la loro identità. In occasione della festività del 2017 è stato organizzato un workshop dal titolo “ ‘Ntuppatedde. Performance e workshop” che si svolgerà a Catania dal 28 gennaio fino al 3 febbraio, giorno in cui le allieve si esibiranno mostrando quello che hanno imparato sul mondo delle ‘Ntuppatedde proprio durante la festa. Il progetto è curato da Elena Rosa ed è aperto a tutte le donne che vogliano prendervi parte, previo il versamento di un contributo di euro 35. Inoltre la performance avrà valore di crediti universitari (CFU) per tutte le studentesse dell’Accademia delle Belle Arti di Catania che prenderanno parte al piccolo corso.
Maria Mento